Pubblicato il: 31 Maggio 2019

Cronache europee del Ghiaccio e del Fuoco

Per sopravvivere alla fine di Game of Thrones sono arrivate in soccorso le elezioni europee.


Game of Thrones è finito e ancora una volta dà lezioni di diplomazia.

I tiranni, anche quelli con velleita’ di liberatori, non sono destinati alla vittoria, non sempre e non completamente, quantomento. In qualche modo, che sia con un bacio di Giuda, e poi con il concilio di una ristretta elite, o che avvenga attraverso un sistema di contrappesi legittimati dalla volonta’ popolare, e’ la ragion di stato a prevalere, il compromesso che scontenta tutti e che quindi, diventa il miglior epilogo della vicenda.

Durante il voto elettorale della scorsa domenica, incredibilmente partecipato, per il rinnovo del Parlamento Europeo, e’ successo un po’ come a Westeros qualche giorno prima, con la grande differenza che in Europa l’onda d’urto del pericolo, non e’ stata bloccata ne’ estinta, ma solo contenuta.

Nessun vincitore shiacciante, gli equilibri dello status quo hanno mantenuto, piu’ o meno saldamente, il proprio posizionamento e, di fatto, ogni partecipante al gioco dei seggi vede garantito uno spazio di manovra piuttosto ampio per far sentire la propria influenza.

Si e’ trattato di elezioni particolarmente cariche di significato, timori e, mancate, aspettative.

Le prime dopo il voto sulla Brexit, con l’incognita della partecipazione del Regno Unito fino all’ultimo, le ultime dell’era Merkel, con un grande scontro di civilta’ fra i partiti delle destre populiste, pronti a sclazare i partiti tradizionali e sgretolare l’impianto europeo dall’interno delle sue fondamenta e gli emergenti socialisti spagnoli, nuovo punto di riferimento per le forze liberali ed europeiste. Sono state inoltre elezioni importanti per l’impatto che i suoi esiti avranno necessariamente sulla scelta della nuova leadership del Consiglio e della Commissione, per la nomina dei successori di Donald Tusk e Jean-Claude Juncker.

A conti fatti, il blocco sovranista e populista non ha sfondato il muro dei consensi, sebbene sia riuscito indubbiamente ad avere un maggior peso in termini di parlamentari eletti. Il Partito popolare e il Partito socialista hanno perso la loro egemonia, ma rimangono comunque gli schieramenti principali, e dovranno dividere la guida dell’Unione con i veri vincitori morali di queste elezioni, i liberali di Alde e i progressisti biosostenibili dei Verdi, che hanno ottenuto i risultati migliori nella storia dell’Europarlamento. Pare quindi evidente che gli elettori abbiano di fatto continuato a premiare le forze europeiste nel loro complesso, abili nel mantenere ancora una solida maggioranza numerica, nonostante l’inevitabile cambio degli equilibri interni. Tuttavia, l’aumento del peso delle destre euroscettiche potrebbe portare ad una maggiore frammentazione, mettendo a rischio la fluidita’ dei processi legislativi durante la prossima legislatura.

Le consultazioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo vengono notoriamente considerate un test elettorale di politica interna, quindi, nei paesi dove hanno  prevalso le forze sovraniste e nazionaliste gli equilibri interni sono stati fortemente messi in discussione e si dovra’ osservare nel tempo l’evoluzione dei rapporti di forza.

E’ il caso soprattutto dell’Italia, dove la maggioranza e’ stata schiacciante e della Francia, dove il quasi testa a testa fra Le Pen e Macron, con una leggera preponderanza della prima, ha reso la fotografia di un paese spaccato a meta’ e sull’orlo di un ribaltamento imminente della situazione.

Dall’Ungheria, dall’Austria e dalla Polonia si confermano senza particolari sorprese i blocchi conservatori e populisti. In Portogallo, Olanda e Spagna vincono i Socialisti, con un’elezione molto sentita soprattutto in quest’ultimo paese, mentre in Germania, la CDU di Angela Merkel si conferma il primo partito ma perde posizioni, seguito dai Verdi e dai Socialisti, mentre il partito di estrema destra ha ottenuto il 10% dei consensi. In Grecia, poi, la forza socialista di Alexix Tsipras e’ stata cancellata dall’avanzata del partito di centrodestra, costringendo il premier a indire nuove elezioni.

Interessante, infine, e’ il caso inglese, dove il partito estremista euroscettico di Nigel Farage, il padre spirituale della Brexit, ha sbaragliato le due forze storiche del bipolarismo tradizionale britannico.

La sua vittoria non deve pero’ stupire. E’ la scelta coerente di un paese che non avrebbe potuto votare diversamente, e che neanche avrebbe dovuto parteciparvi a queste elezioni, se solo fosse stato in grado di non litigare con se stesso. Quindi, che cosa ci si sarebbe potuto aspettare in un’elezione in cui la posta in gioco e’ la rappresentazione del paese proprio laddove esso ha scelto di non voler stare. Come dire, si viene costretti a prendere un the nel salotto del nemico, ovvio che ci si presenta con le scarpe sporche di fango.

“Perche’ nel gioco dei seggi si vince o si muore”, suona un po’ catastrofica come affermazione, ma l’Europa di oggi ringrazia che questa logica rimanga ancora solo il frutto dell’immaginazione di un emerito scrittore di saghe fantasy.

Nessuno ancora rischia la testa, o di essere bruciato vivo da un drago, al comando di qualcono che soffre di deliri di onnipotenza, ma sicuramente la stessa presenza, vitale e aggressiva, di minacce antisistema, deve mettere in guardia tutti. All’Unione Europea non c’è un’alternativa, ma e’ di fondamentale importanza lavorare per un’idea alternativa di Unione Europea, anche attraverso mediazioni e nuove forme di responsabilita’, come quelle stesse forze dirompenti suggeriscono.

Lo riafferma la vera, unica, grande sconfitta di questa tornata elettorale, e di questo periodo storico, la Premier inglese Theresa May che in lacrime annuncia le sue dimissioni e ammette pubblicamnte  il suo fallimento nel condurre il paese al di fuori dell’Unione Europea.

“Non dimenticatelo mai: compromesso non è una parola sporca, la vita è fatta di compromessi”, ammonisce piangente la leader colpevole, secondo i suoi detrattori, di eccessivo europeismo a causa di quell’accordo di divorzio troppo consensuale. Quella leader che aveva sempre sostenuto quanto Brexit non significasse soltanto uscita dall’Unione Europea, voltando le spalle sdegnosi ad un sistema che lo stesso Regno Unito aveva contribuito a creare e che ne aveva sostenuto la grandezza, ma anche e soprattutto un profondo cambiamento di tutto il paese. Per il quale un compromesso sarebbe stato necessario.

Morale sicuramente condivisa, questa, sebbene solo all’atto finale, da quell’aristocrazia protomedievale che ha giocato per anni sulla gestione e sul mantenimento del proprio potere.