Pubblicato il: 12 Gennaio 2017
“La grande onda” di Hokusai è l’opera dell’arte orientale piu’ conosciuta al mondo.
La potenza della natura, con riccioli di spuma come artigli, sovrasta la precarietà umana, il cui destino si esplica nella ricerca di una via di fuga. I pescatori sulle barche, piegati in un inchino di fronte all’onda, stanno cercando di adattarsi alla sua furia, per rimanere vivi. L’onda è un respiro bloccato, un momento di stallo nella ferocia dell’inevitabile. Sullo sfondo si staglia il Monte Fuji, nella sua eterna immutabilità, che osserva silente la scena, in un incontro di yin e yang, di equilibrio e dinamismo.
E cosi, dopo la Brexit e Donald Trump al potere, anche l’Occidente ha il suo tsunami. Great Britain First, America First, avanti il prossimo.
Tutto ciò che poteva accadere è accaduto, tutto ciò che sta accadendo in fondo è ciò che doveva accadere.
Al momento attuale dominano solo incredulità e confusione. Stanno tutti tentando di trovare dei punti di riferimento interpretativi, attraverso paragoni letterari e storici, o facendo ricorso addirittura alla filosofia, eppure, per ora, anche le analisi più accurate brancolano nel buio e di fatto non fanno altro che seguire attonite l’apparente casualità degli eventi. Non si comprende il mondo che ha operato quelle scelte e non si ha idea di quale mondo possa emergere d’ora in poi.
Milioni di persone sono scese in piazza a manifestare nelle ultime settimane, quell’esatta metà degli Stati Uniti che non accetta un presidente che vuole governare solo per i suoi elettori. Donne, lavoratori migranti, stranieri residenti, giornalisti, intellettuali, celebrità. Tutti a prendere un posto in prima fila per le strade di New York e Washington, a urlare il proprio sdegno nei confronti di un attacco alla libertà, ai diritti, alla giustizia. Molti di loro non partecipavano ad una manifestazione dai tempi del Vietnam, altri dal Forum di Porto Alegre, altri ancora da Occupy Wall Street. Per la maggior parte di quelle persone era addirittura la prima volta ad una protesta. E’ scesa in piazza quella parte di societa’ civile che riconosce quanto le disuguaglianze sociali ed economiche siano diventate estreme nel paese dove tutto e’ possibile, con la paura di non poter più riuscire, o forse con la consapevolezza di non essere mai riusciti, a realizzare la dorata utopia del sogno americano.
Un paese lasciato solo da una sinistra democratica sempre più distante, che ha fallito il proprio progetto sociale e politico, in silenzio stampa dopo la sconfitta subita.
Quella sinistra intrappolata in una miscela di retorica inclusiva, rivendicazioni socialdemocratiche e neoliberismo, permeata da un’ortodossia progressista totalmente incline alle logiche del capitalismo, che si parla addosso e si mostra incapace di interpretare le trame della società di ieri, di oggi e di domani.
Manifestare è un’espressione fondamentale di democrazia, ma sarà altrettanto rilevante definire per cosa e non solo contro cosa ci si sta battendo, per evitare un destino di esaurimento di contenuti non appena sopraggiungerà l’assuefazione.
Perche’ arrivera’. E un repiro di impotenza si insinuera’ negli animi, nelle menti e nel cuore, fino a che lo sguardo non si volgera’ altrove e non ci si rendera’ conto che non basta scendere in strada una volta sola, non basta farlo quando tutto e’ gia’ accaduto. No, ora, piu’ che mai, bisogna rimanere vigili e cavalcare l’onda.
Si devono tenere occhi, orecchie e mente aperti nell’osservare con lucida fermezza quella che è la realtà del momento attuale, disossandola dalle sovrastrutture ideologiche che le si sono costruite attorno. Perché ciò che sta accadendo potrebbe divenire una catarsi, una purificazione che il mondo sembra essere destinato a sperimentare per poter ricominciare un nuovo ciclo.
Così come si spera che l’attraversamento del limite non comporti qualcosa di già visto nella storia, perche’ i muri e le onde di tsumani che spazzano via tutto sono gia’ esistite.
Che Dio Benedica l’America?