Pubblicato il: 24 Giugno 2014

La vittoria del second best

Nell’attuale dibattito sulle politiche climatiche negli Stati Uniti, fra la carbon tax e il carbon market, è la seconda alternativa quella vincente.

 



Il 2 giugno Barack Obama ha emanato tramite l’EPA, l’Agenzia di protezione dell’ambiente statunitense, un provvedimento che obbliga il settore elettrico a tagliare, entro il 2030, le emissioni nazionali del 30% rispetto ai livelli del 2005. L’atto del presidente americano, che non richiederà l’approvazione del Congresso per l’entrata in vigore, può essere considerato come un passo fondamentale nella politica climatica del paese.

Il piano, pur stabilendo un target di riduzione complessivo, consente però agli stati libertà decisionale in merito alle modalità di raggiungimento dell’obiettivo, che dovranno necessariamente prevedere azioni in ambiti strategici quali l’efficienza e il risparmio energetico, il passaggio a combustibili meno impattanti, l’utilizzo più massiccio delle fonti rinnovabili, nonché il sostegno a investimenti in tecnologia e ricerca.

Negli Usa il settore della generazione elettrica è responsabile della maggior parte delle emissioni di gas serra provenienti principalmente dagli impianti a carbone. Tuttavia, se si considera che le emissioni del settore energetico statunitense sono calate di circa il 13% nel periodo dal 2005 al 2012, a causa della recessione e del boom dello shale gas, la misura imposta da Obama sembra assumere connotati meno ambiziosi, in quanto, di fatto, determinerebbe una riduzione delle emissioni nell’ordine, al massimo, del 7%.

In ogni caso, tale situazione e il contemporaneo mantenimento del vantaggio competitivo del gas sul carbone derivante dalla “rivoluzione energetica” in atto negli Stati Uniti, rendono l’obiettivo piuttosto realistico e non eccessivamente impattante sui prezzi dell'energia elettrica.

Critiche e plausi, entusiasmi e delusioni si sono susseguiti nei giorni successivi l’emanazione del decreto, che è stato accolto con grande partecipazione dai partiti, dall’opinione pubblica nazionale e dagli osservatori internazionali, sollevando un ampio dibattito in merito alla legittimità di un intervento mirato ad un solo settore produttivo.

Mentre i Democratici considerano la legge come uno step di fondamentale importanza nella lotta ai combustibili fossili e sostengono le politiche energetiche come uno degli argomenti vincenti in vista delle prossime campagne presidenziali, le lobby del carbone, appoggiate dai Repubblicani, contestano pesantemente il provvedimento considerandolo un duro colpo al settore. Gli industriali infatti ritengono che la nuova legge causerà perdita di competitività e posti di lavoro, facendo ricadere gli oneri di riduzione principalmente sui consumatori e sulle aziende del settore manifatturiero, che vedranno aumentare in maniera considerevole i propri costi.

Per quanto acclamata dai Democratici, è pur vero inoltre che la proposta potrebbe diventare un’arma a doppio taglio per il mantenimento del consenso soprattutto in alcuni stati notoriamente produttori di carbone in cui il piano farebbe sentire maggiormente gli effetti, aumentando così le probabilità dei Repubblicani di riprendere terreno.

Il Presidente Obama, tuttavia, oramai a metà del suo secondo mandato e sgravato della responsabilità di una rielezione, sembra sentire meno la preoccupazione per le sorti del partito in nome di una maggiore cura per la creazione di un circolo virtuoso che potrebbe spingere la Cina e l’India a seguire il cammino di politiche per una effettiva sostenibilità ambientale, anche in vista dell’importante summit sul clima di Parigi 2015, a cui l’America vuole presentarsi con obiettivi chiari e consolidati. A tal proposito, grande interesse sta sollevando in questo periodo soprattutto la Cina che, dopo aver messo in atto piani per la lotta all’inquinamento dell’aria e delle acque e a seguito dell’instaurazione di carbon market locali, potrebbe essere incentivata, sulla scia dell’azione di Obama, a imporre un vero e proprio tetto nazionale sulle emissioni, con rilevanti ripercussioni sia a livello interno, sia sul piano globale.

Imporre una carbon tax o meglio ancora definire un prezzo al carbone attraverso un sistema di cap and trade lasciando che gli acquirenti e i venditori decidano il metodo più efficiente e meno costoso per ridurre le emissioni, sarebbe stata sicuramente l’alternativa più economica per l’America per raggiungere i propri obiettivi di riduzione, ma avrebbe richiesto l’approvazione del Congresso, che già nel 2010, durante il primo mandato della presidenza Obama, aveva mostrato contrarietà con un voto quasi unanime contro la messa in atto di un sistema di carbon market.

L’approccio “command and control” di Obama, con l’imposizione di vincoli quantitativi di riduzione, è risultato, però, ad oggi, un vincente “second best”, che produrrà risultati di grande importanza sia sull’ambiente sia sull’intero sistema energetico americano, forzato a migliorare tecnologie e processi produttivi.