Pubblicato il: 24 Febbraio 2015
Ancora Ulrich Bech, uno dei maggiori studiosi dei processi di globalizzazione del mondo contemporaneo, visionario militante dell’Europa politica e sociale e profondo conoscitore delle dinamiche strutturali dell’operato politico tedesco, intrinseche nella natura storica del popolo e del luogo. Per l’ennesima volta l’Europa si pone al centro del dibattito, il senso del suo esistere presente e futuro e le sue risposte alla crisi. Ed ancora emerge la necessità di un nuovo lessico, che Beck usa in maniera dirompente nei confronti delle categorizzazioni classiche per l’interpretazione dei fenomeni umani.
Ai concetti di “cosmopolitismo”, seconda “modernizzazione” e “società del rischio”, Beck ora aggiunge la nozione fondamentale di “nazionalismo metodologico”, nell’intento di superare l’erronea semplificazione che costringe la teoria e la pratica politica nelle opprimenti dimensioni dello Stato-Nazione. Logica che, peraltro, ha avuto un riflesso tangibile nelle vicende mondiali ed europee degli ultimi anni, sollecitate dalle dinamiche della globalizzazione e della crisi economica, dalle rivendicazioni dei rinati partiti estremisti, fino ad arrivare alla progressiva e inesorabile “germanizzazione” dell’Europa.
Fautore di un “cosmopolitismo” globale, Beck chiarisce quanto il paradigma nazionalista stia da una parte offuscando la soluzione di problematiche di natura transnazionale che potrebbero meglio risolversi proprio a tale livello piuttosto che a scala locale, attraverso una combinazione di poteri e la condivisione della sovranità fra stati e dall’altra abbia creato, specificamente nel caso dell’Europa, una pericolosa varietà di “rischi” che stanno minando le basi solidali da sempre fondamenta del progetto europeo.
Il passato come membro del Gruppo Spinelli per l’integrazione europea emerge dunque prepotente in Beck quando descrive il percorso concettuale che l’Europa ha seguito nell’edificare la sua struttura economica e sociale, per la quale auspica un futuro nella direzione del federalismo e per cui, invece, non può che constatare le pesanti ripercussioni del “nazionalismo metodologico”.
La nascita di nuovi “rischi”, con la frattura fra il nord e il sud del continente, si associa dunque all’emergere di una nuova geografia del potere che ha sancito la nascita di quello che Beck chiama il “merkievellismo”, un particolare corso politico dei nostri tempi che definisce lo stile tipico della Germania e in particolare della sua Cancelliera nel rapportarsi con gli altri stati europei e con lo stesso popolo tedesco. Una singolare crasi fra Angela Merkel e Nicolò Machiavelli, che definisce quella capacità sottile, caratteristica della “dama d’Europa”, “di difendere da una parte gli interessi nazionali e dall'altra di assumere in sé le paure dei cittadini, dando l'impressione di prenderle sul serio.”
Quel potere, che la Germania si è autoconcessa, di indurre gli altri stati europei a riconoscere l’importanza del suo ruolo, senza dover ricambiare con la stessa moneta, di obbligare gli stati a seguire un codice di comportamento non scritto, tipicamente protestante e in parte socialista, tale è la tradizione storica tedesca, che redarguisce gli “spreconi”, “i disorganizzati” e gli “imprecisi”.
Quella forza che riesce a garantire stabilità sociale. Infatti, pur nella presenza di una cittadinanza viva e non assoggettata, anche spesso in netto contrasto con le logiche dominanti, il popolo sente nel profondo che alle proprie paure e ai propri interessi, in qualche modo, viene garantita una tutela.
Le critiche della Grecia al modello “merkievellico” e al “nuovo nazionalismo economico tedesco” stanno sollevando una forte diatriba circa la legittimità di tale potere, nonché, soprattutto, un durissimo contrasto fra i due stati, debitore l’uno, creditore l’altro. Dopo momenti in cui si è temuta la cacciata della Grecia dall’eurozona, quando premi Nobel e acuti osservatori come Paul Krugman, hanno invitato a riflettere sulle reali motivazioni che guidano le scelte, “apparentemente folli” dell’establishment tedesco, soprattutto considerando gli effetti potenzialmente devastanti di un’uscita della Grecia dall’euro, sia in termini economici e finanziari che in termini politici e geopolitici, la scorsa settimana, infine, si è giunti ad una prima bozza di un accordo fra la Grecia e l’Eurogruppo per fornire al paese ulteriori aiuti finanziari.
Il “merkievellismo” che tanto funziona in casa e tanti timori incute fuori, forse comincia a vacillare, o quanto meno a ritornare a più miti consigli in vista di una mediazione necessaria per il bene comune. I nodi da sciogliere sono ancora tanti, riguardanti soprattutto i termini e le modalità dell’accordo, e tanti sono i compromessi che anche il governo greco dovrà accettare.
Interessanti sono però le prospettive, nell’auspicio che tale situazione sollevi in Europa l’avvicinamento fra tendenze opposte, apparentemente inconciliabili, la comprensione per le differenze strutturali dei vari paesi, cui la Germania dovrà necessariamente arrendersi e il consolidarsi di istinto di emulazione, da parte degli altri stati, per l’innegabile organizzazione dell’apparato politico-istituzionale tedesco, tale da consentire all’economia di crescere e rinnovarsi.