Pubblicato il: 21 Luglio 2015
L’ayatollah Khomeini, fondatore della teocrazia iraniana, non potrebbe credere a quel che è accaduto il 14 luglio a Vienna, dove i suoi successori hanno raggiunto con gli americani, gli avversari di sempre, quello che il Financial Times ha definito come “uno degli accordi diplomatici più significativi dalla fine della guerra fredda”. Richiamo alla caduta del muro di Berlino, alla storica stretta di mano fra Nixon e Mao nel 1972 o all’ancora più celebre partita di ping pong che segnò il disgelo fra i due blocchi. Quello che ad aprile, con il meeting a Losanna, sembrava un traguardo raggiungibile, ma pieno di incognite, con la firma dell’accordo sull’utilizzo dell’arsenale nucleare iraniano, fra Iran e il gruppo dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, è diventato realtà.
Ovviamente contestato da più fronti, dai repubblicani statunitensi, che si preparano alla battaglia in Congresso con la quale sperano di impedire la ratifica, dagli avversari interni del presidente iraniano Rohani, da Israele, che lo definisce "un errore di proporzioni storiche” e dall’Arabia Saudita, di certo il trattato sul nucleare diventerà uno degli elementi fondamentali del lascito storico di Obama. Con l’auspicio che possa davvero predisporre terreno fertile per aprire un nuovo capitolo nelle relazioni internazionali. Da quel 4 novembre del 1979, infatti, quando gli studenti di Teheran, esaltati dalla rivoluzione e dalla caduta dello scià, assaltarono l’ambasciata statunitense prendendo in ostaggio diplomatici e impiegati ed innescando una crisi politico-diplomatica fra le più acute della storia recente, i rapporti tra l’America tacciata di blasfemia e l’Iran-canaglia e crogiolo del terrorismo, sono stati contraddistinti da decenni di reciproco fanatismo e sospetto. L’accordo è basato su uno scambio. A fronte della revoca graduale e dell’alleggerimento delle sanzioni economiche occidentali, l’Iran ha acconsentito a limitare lo sviluppo del suo programma nucleare per i prossimi 10-15 anni, nonché ad accettare un regime di controlli in tutti i siti sospetti, inclusi quelli militari, come atto garantista che chiuda alla possibilità di sviluppare il nucleare clandestinamente. Con la rimozione, fra le altre, delle sanzioni commerciali imposte alla Banca Centrale iraniana, alla compagnia petrolifera nazionale, alle compagnie aeree e di navigazione, sarà ora possibile per l’Iran riprendere la cooperazione economica con gli stati occidentali, gestire la vendita di petrolio e di gas e l’acquisto di strumenti informatici e tecnologici. Qualora l’Iran dovesse violare le linee guida, le sanzioni verrebbero immediatamente ripristinate.
La portata dell’accordo non riguarda peraltro soltanto il contenimento della minaccia nucleare, ma bensì anche il ruolo che l’Iran potrà recuperare nella regione mediorientale, accrescendo la propria influenza nell’area e diventando ponte per il mondo occidentale. Alcuni cambiamenti arriveranno in fretta, altri necessiteranno di più tempo, ma non tarderanno. La moneta riacquisterà valore rispetto alle valute estere, l’inflazione scenderà, si assisterà alla ripresa degli introiti derivanti dalla vendita del petrolio e del gas, tutta l’economia verrà rilanciata grazie all’apertura agli investimenti stranieri, impazienti di riversarsi su un paese di 80 milioni di persone ansiose di consumare e recuperare spazi di libertà civile sempre negati. La libertà di usare Internet senza vincoli e limiti, di usufruire dei mezzi di tecnologia digitale, di ascoltare musica rock, leggere libri licenziosi, viaggiare per studio, conoscere realtà diverse, uscire dalla condizione di sudditanza intellettuale.
All’annuncio dell’accordo migliaia di persone festose, soprattutto giovani donne e uomini, si sono riversate nelle piazze e nelle vie della capitale, di fronte ai presidi di una polizia attenta ma sorridente. Questi ragazzi, orgogliosi e fieri, hanno manifestato la voglia di riprendersi il controllo sul proprio destino, nella prospettiva di un’imminente crescita economica che ha riacceso le speranze e fatto emergere una gioventù con una grande volontà di cambiamento.
Si aprono ora complesse fasi politiche.
Il 2016, infatti, sarà l’anno del rinnovo del Parlamento in Iran e delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
Entrambi i paesi dovranno quindi dimostrare dedizione alla causa e chiarezza di intenti, consolidando strategie di “confidence building” tali da rendere troppo elevato il prezzo di un eventuale sabotaggio dell’intesa da parte dei futuri candidati.
Di certo, la natura stessa dell’accordo lo rende di per sé una garanzia di credibilità. Più l’Iran si sentirà parte integrante del sistema economico mondiale, più sarà suscettibile ad una pressione internazionale tale da innescare un meccanismo autoregolativo. E allo stesso modo, più la popolazione beneficerà della crescita economica, sociale e culturale derivante dalla riduzione delle sanzioni e dall’apertura al mondo esterno, assorbendone anche certi tratti distintivi, più forte diventerà l’appeal delle voci moderate nei confronti del fanatismo e dell’integralismo.