Pubblicato il: 17 Febbraio 2015
Quello di Ulrich Beck, sociologo tedesco-polacco, tra i più noti e influenti pensatori europei, è un vero corpo a corpo con la società. Attraverso uno sguardo lucido e critico e un afflato di positività cosmopolita, Beck vuole incrinare l’orizzonte normativo della comune percezione del mondo.
La sua scomparsa, avvenuta pochi giorni prima dell’attacco a Charlie Hebdo, ha riportato in superficie dibattiti e teorie, da lui più volte esposti nel corso della sua produzione intellettuale, inconsapevolmente ben connessi alla realtà che l’Europa e l’Occidente stavano sperimentando dopo le pallottole sparate sulla libertà di espressione.
Beck è stato uno dei protagonisti indiscussi della sociologia e filosofia europea contemporanea, ideatore di un lessico che pur attingendo dai dogmi del pensiero analitico classico, tenta l’ardua impresa di sovvertirli nella volontà di creare un nuovo vocabolario per l’interpretazione dei fenomeni umani. La sua opera si nutre dei giganti del passato e cresce assieme ai grandi della contemporaneità, da Kant con il concetto di cosmopolitismo, a Tocqueville con l’analisi della libertà politica, a Nietzsche con il discorso sulla pluralità ed eguaglianza delle condizioni.
Per giungere a Pierre Bourdieu con la “violenza simbolica” attraverso cui viene imposta una certa visione del mondo, ad Alain Touraine con “il post-industrialismo e la post modernità” delle società a partire dagli anni Ottanta-Novanta, ad Anthony Giddens con la sua “terza via” politica, intermedia fra destra e sinistra. Ed ancora, fino ad arrivare ad Hanna Arendt con l’indagine sui totalitarismi, ad Habermas con il riconoscimento della crisi di legittimità delle istituzioni nelle società industriali nell’era del capitalismo maturo, che mina alla base le democrazie contemporanee e i meccanismi di formazione del consenso ed infine a Bauman, con la scoperta della “società liquida”, impalpabile e precaria, tipica del postmodernismo del mondo globalizzato.
Ecco dunque che il nuovo lessico di Beck prende forma e si concretizza nelle parole “rischio”, “politicizzazione dell’economia”, “modernità” e “cosmopolitismo”. La sua visione parte dal ripensare in profondità la natura del modello sociale, economico e politico che ha sorretto il mondo nei multiformi passaggi storicamente vissuti, per approdare definitivamente nella percezione e nella consapevolezza della presenza di un “rischio”, di un principio latente di destabilizzazione dell’ordine attualmente esistente. “Il passaggio dalla probabilità prevedibile all’incertezza radicale”, definizione usata da Beck per chiarire il concetto di rischio, ci rende quindi membri di una “comunità globale del rischio”, esposta a sfide che hanno provocato profonde trasformazioni. Globalizzazione, crisi economica, turbolenza dei mercati finanziari, individualismo, terrorismo, migrazioni, disoccupazione, rivoluzione dei generi, cambiamento climatico, un’Europa in espansione che minaccia la sovranità degli stati nazione, giusto per citare alcune delle sfide più grandi. Quanto più tali forze sono andate radicalizzandosi, tanto più si è innescato un processo reattivo di delegittimazione delle istituzioni fondamentali della società, dalla famiglia all’educazione, dal welfare al lavoro, processo verso cui il “sistema tradizionale” ha mostrato un certo spaesamento dovuto all’ancoraggio a paradigmi di pensiero obsoleti.
Eppure, nonostante la pesantezza di una realtà non facilmente gestibile, Beck si dimostra, in ultima analisi, un ottimista. Gli stessi “rischi”, elencati con dovizia di particolari, nascondono, nella sua ottica, la possibilità provvidenziale di un cambiamento e sollecitano ciò che lui definisce “un nuovo modello di modernità”, “una seconda modernizzazione”, “una modernità riflessiva” da cui ogni società potrebbe trarre giovamento. Ciò che Beck ha cercato di ribaltare è il concetto di paura conseguente la percezione del rischio e dell’incertezza, situazione dalla quale potrebbero inaspettatamente persino nascere nuovi legami che andrebbero a rinsaldare le trame delle società attuali altamente individualizzate. Il suo basilare ottimismo fa sì, quindi, che il concetto di “postmodernità”, ossia di decadenza, si trasformi in “seconda modernità”, ovvero recupero dei valori sociali ed etici, che “l’individualismo” possa diventare “cosmopolitismo”, ovvero unione nelle differenze e nella pluralità, che “l’egemonia del denaro” possa essere spezzata dalla “terza via”, una condizione in cui la politica possa assumersi la responsabilità di gestire gli effetti collaterali ed incontrollati dell’economia. Ed infine, che la crescente avversione nei confronti di una politica che si sente sempre più distante, tanto da sfociare nell’antipolitica e nel populismo, possa mutare in un sentimento di responsabilità sociale.