Pubblicato il: 17 Dicembre 2020
Durante i mesi in cui Joe Biden e il presidente Trump hanno condotto una campagna l'uno contro l'altro, vaste sezioni del West americano hanno preso fuoco.
Più di cinque milioni di acri sono bruciati e l'aria in California, Oregon e Washington a volte è stata più dannosa da respirare che in alcune città dell'India intasate dall'inquinamento. Se non ci fosse stata la pandemia con grande probabilità il cambiamento climatico sarebbe stato uno degli argomenti più dibattuti durante la campagna elettorale americana, ma il nuovo presidente Joe Biden è intenzionato a renderelo ora una delle priorità del suo governo.
E’ interessante notare come negli ultimi vent’anni gli Stati Uniti hanno avuto politiche divergenti sul clima a seconda della presenza alla Casa Bianca di un’amministrazione democratica o repubblicana. Con Bill Clinton a fine anni novanta gli Usa firmarono il Protocollo di Kyoto, il primo trattato globale sul clima, ma l’inversione di tendenza avvenne con George W. Bush che decise di non ratificarlo. Poi arrivò Barack Obama che mise la lotta ai cambiamenti climatici uno dei suoi obiettivi principali e promosse il Trattato di Parigi, ma poi subentrò Donald Trump che portò il negazionismo climatico al governo. Per citare solo alcuni dei provvedimenti del presidente uscente per smantellare l’intero l’impianto normativo per la protezione ambientale messo in atto dalla precedente amministrazione: la revisione del Clean Power Plan, il piano che riduceva le emissioni legate alla produzione di energia elettrica nelle centrali esistenti e prevedeva restrizioni per i nuovi impianti; la cancellazione della moratoria sui permessi per le nuove miniere di estrazione del carbone nelle terre di proprietà pubblica; la revisione in senso meno stringente dei limiti sulle emissioni di metano dall'estrazione di gas e petrolio; il via libera dato alle compagnie petrolifere per la trivellazione nei pozzi dell’Alaska; la cancellazione dell’obbligo di controllo degli sversamenti in acqua di arsenico e mercurio; il blocco dell’imposizione di produrre auto che consumano meno carburante; nonchè, ovviamente l’uscita dal Trattato di Parigi sul clima.
A Joe Biden spetta ora un compito fondamentale e il nuovo presidente sta dimostrando di rendersene conto, considerando la nomina, nell’ambito della sua squadra di governo, di John Kerry come responsabile e inviato speciale per il clima. Già segretario di Stato di Barack Obama, in prima linea nelle negoziazioni per l’accordo sul clima di Parigi, ex candidato alla presidenza alle primarie democratiche che poi videro Barack Obama vincitore, John Kerry svolgerà un incarico che nelle precedenti amministrazioni non esisteva, e si troverà anche a fare i conti con l’ala socialista più radicale del partito democratico che fa della protezione del clima il suo marchio distintivo.
La piena capacità di Biden di realizzare il suo piano dipenderà però dal risultato dei ballottaggi per i seggi mancanti al Senato, che potrebbero impedire una maggioranza al partito di governo, determinando una situazione instabile come quella che si trovò ad affrontare Obama durante il suo mandato.
Mentre una tassa sulle emissioni, o un sistema di permessi, strumenti peraltro ben accolti dai democratici, prevederebbero l’accettazione da parte di entrambe le camere del Congresso, un sistema più strutturato su incentivi e regolamentazioni potrebbe superare la possibile presenza di un Senato a maggioranza repubblicana con cui Biden potrebbe trovarsi a governare. Quest’ultimo approccio, dunque, costituirebbe il fulcro dell'agenda di Biden in vista della transizione energetica.
E la questione climatica è stata anche al centro delle discussioni durante il vertice del G20 appena concluso.
Durante la riunione i rappresentanti delle principali economie mondiali hanno concordato la necessità di uno sforzo unanime sui temi principali di questo momento storico, dal clima, alla ripresa economica, alle disuguaglianze crescenti, alla trasformazione digitale e soprattutto all’uscita dalla pandemia con un vaccino.
Solo il presidente statunitense uscente ha usato il tempo del suo discorso per riaffermare la volontà del paese di continuare a restare fuori dal Trattato di Parigi, per proteggere “i diritti del lavoratori americani” che si troverebbero svantaggiati dalle restrizioni imposte.
Durerà ancora poco questo cieco negazionismo e finalmente a breve si potrà ritornare ad agire pensando al futuro del pianeta e non solo agli interessi di una parte d’America.