Pubblicato il: 22 Agosto 2020
Ci sono momenti nella vita, così come nella storia, in cui si ha la chiara percezione di come una scelta possa davvero essere decisiva per stabilire un corso o un altro degli eventi.
Ed è questo ciò che sta accadendo ora in America, quando, nel mezzo di una pandemia globale che ha sovvertito equilibri e certezze, la scelta di chi sarà il presidente nei prossimi quattro anni diventa cruciale per definire il futuro della nazione.
Nel corso delle ultime settimane si sono svolte negli Stati Uniti le Convention del partito democratico e di quello repubblicano, in vista delle elezioni del 3 di Novembre.
La riunione dei democratici, svoltasi quasi interamente online, non ha avuto la tipica aria di festa con palloncini e sorrisi come accade di solito, ma ha mostrato piuttosto un’atmosfera cupa e preoccupata, con i suoi partecipanti che hanno espresso paure e rabbia per la situazione in cui versa l’America in questo periodo.
Il candidato presidente Joe Biden, “il caro zio Joe”, come lo chiamano, è il classico bravo ragazzo.
Sta in politica da sempre, senatore democratico dello stato del Delaware dal 1973 al 2009, vice presidente di Barack Obama per gli otto anni di mandato, ed è stato così bastonato dalla vita da essere diventato abile nell’assorbire i colpi e trasformarli in capacità di reazione ed empatia.
Balbuziente, ha perso moglie e una figlia in un incidente stradale appena nominato senatore, ha visto morire il suo primogenito, astro nascente della politica americana, per un cancro al cervello a 40 anni, sa cos’è la sofferenza, cosa sono le difficoltà e non volterà le spalle a quella parte di America che si trova ora senza lavoro, senza tutele sociali e sanitarie, e che non si riconosce nelle posizioni e nei metodi dell’attuale presidente.
La scelta di Joe Biden ha dimostrato che l’America non è ancora pronta, e forse non lo sarà mai, ad un cambio di rotta in senso socialista, quello che per anni ha tentato di inseguire Bernie Sanders, scontentando le aspirazioni dell’ala più giovane e progressista dell’elettorato. Il partito, che nella scelta del presidente ha preferito proseguire un percorso più istituzionale, ha invece lavorato strategicamente nella candidatura alla vicepresidenza.
Il braccio destro di Biden, come previsto, avrebbe dovuto essere una donna, possibilmente non bianca, molto esperta in politica e piuttosto giovane. Considerata l’età di Biden, 77 anni, e la sua decisione di non candidarsi per un eventuale secondo mandato, avrebbe dovuto poterlo sostenere in corso d’opera e pure sostituirlo se necessario.
Kamala Harris, la candidata scelta come vice, è riuscita a soddisfare i requisiti e le esigenze di questo momento storico, con la sua identità nuova, metà caraibica e metà indiana, il suo forte carisma, l’abilità nei dibattiti e la sua posizione riconosciuta come magistrato e senatrice, tale da renderla un personaggio benvoluto tanto negli ambiti più moderati quanto nelle falangi più radicali del partito.
Nella speranza di riuscire a raccogliere i voti che sarebbero andati a Sanders, Kamala Harris si definisce più progressista di Biden, in relazione ad esempio alla riforma sanitaria e alla depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina, temi poi ripresi nel suo discorso, in cui ha parlato di giustizia sociale, di democrazia, di impegno per le riforme, di modernizzazione dei sistemi, in cui si è scagliata contro il razzismo e per la promozione del ruolo delle donne.
Mentre a Biden e a sua moglie sono state affidate parole di rassicurazione e speranza, bisogna ammettere che, ancora una volta, il centro della scena è stato occupato dai coniugi Obama, come sempre imbattibili oratori e portavoce simbolo della sinistra liberale americana. Senza il solito “forte ottimismo pur nelle difficoltà”, loro tratto caratteristico, hanno descritto la situazione di un’America lacerata e attaccata nei suoi valori storici di eguaglianza e democrazia. E hanno comunicato l’unico messaggio possibile, quello di farsi carico di una scelta il 3 di Novembre, andando a votare. Che sia per posta, nonostante gli attacchi di delegittimazione del sistema di voto postale da parte dell’amministrazione Trump, o munendosi di scarpe comode, cibo, mascherine e tanta pazienza per fare la fila ai seggi mantenendo la distanza di sicurezza. Un voto fondamentale, necessario, perchè in gioco c’è la sopravvivenza stessa della democrazia americana, citando le parole di Barack Obama.
Si sono poi susseguiti Berny Sanders ed Elisabeth Warren, i grandi sconfitti, che hanno reso onore al merito e alla causa, nel nome del bene comune, poi Nancy Pelosi, la storica speaker della Camera che nell’ultimo periodo si è posta in aperta contrapposizione con il Presidente Trump, e hanno poi parlato anche l’ex presidente Bill Clinton e la pasionaria Alexandria Ocasio Cortez, impavida portavoce dei giovani socialisti americani, a cui invece è stato riservato un ruolo marginale.
Si è parlato poco di programmi, anche se da più voci nel corso della serata, sono giunte parole in merito all'innalzamento del salario minimo, la lotta al cambiamento climatico, un piano nazionale per la tutela delle classi più colpite dall’epidemia, l’estensione della copertura sanitaria, investimenti nelle infrastrutture, un’azione sui sindacati e sul sistema fiscale, aiuti alle famiglie più povere e un’istruzione pubblica migliore. Tutte istanze che erano state portate avanti anche dai socialisti di Sanders.
Soprattutto, si è voluto portare un messaggio di discontinuità rispetto all’attuale amministrazione repubblicana.
Riusciranno in questo modo i democratici a compattare l’elettorato, a contattare i giovani, le donne, i neri, la classe media, gli strati più fragili ed esposti della popolazione, a convincerli che la loro voce sarà ascoltata?
Joe Biden, riconosciuto per le sue doti umane, sarà capace di dare alla gente ciò di cui ora sente più bisogno? Ma è davvero del ritorno alla normalità di cui hanno bisogno gli americani? Saranno l’empatia, gli abbracci virtuali e la supplica ad appellarsi ai valori universali, le strategie vincenti per contrapporsi alla potenza mediatica e comunicativa di Donald Trump?
Ad oggi, quindi, nel mezzo di una campagna elettorale senza esclusione di colpi e con una società civile che invece i colpi li spara in strada, il verdetto non può che essere affidato ad una moneta tirata per aria.