Pubblicato il: 04 Agosto 2021

"Apocalypse now"

Il primo capitolo del Sesto Rapporto dell'IPCC dice che se non agiamo ora, il cambiamento climatico avrà conseguenze catastrofiche.


Proprio quando sembrava che le cose si stessero mettendo meglio sul fronte della pandemia con le vaccinazioni di massa, nel mese di agosto tutto ha ricominciato a muoversi, portando un nuovo grande senso di impotenza.

Le varianti del virus, la Terra che brucia, l’Afghanistan che ritorna sotto il controllo dei Talebani dopo vent’anni, il terremoto ad Haiti, l’alluvione in Nepal, i ghiacciai che si sciolgono con una velocità sempre più allarmante, le ondate di calore insostenibili.

Nel contempo a livello politico nuove conferenze e nuovi documenti programmatici sono emersi nell’ultimo periodo. E’ uscito il sesto rapporto dell’IPCC, il Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici, si è verificato il G20 ambiente con la riunione di tutti i ministri dell’ambiente degli stati del mondo, e la Commissione Europea ha presentato un nuovo pacchetto di riforme, chiamato “Fit for 55”, che viene considerato la più poderosa iniziativa di politica climatica ed energetica finora messa in campo, nell’ambito del Green Deal.

Il tutto in vista della COP 26 che si terrà a novembre a Glasgow, di cui l’Italia deterrà la vicepresidenza.

All’interno del “Fit for 55” ricadono tutte le misure da attuare per ridurre del 55%, rispetto ai valori del 1990, le emissioni di CO2, di cui l’Europa è responsabile per l’8%, entro il 2030, per rispettare l’obiettivo della neutralità climatica è imposta per legge per il 2050.

La Commissione deve trovare, innanzitutto, un equilibrio tra le posizioni dei governi dei paesi membri e poi dovrà stabilire nuove relazioni con i paesi fornitori di prodotti e di energia. Gran parte delle resistenze interne vengono dal gruppo di Visegrád, la Polonia non è disposta a rinunciare al carbone, e nemmeno l’Ungheria di Orbán che è perlatro molto dipendente dalla Russia, suo fornitore quasi esclusivo di energia.

Interessante e importante cambiamento nella nuova strategia della Commisione Europea è la revisione e ampliamento del sistema di scambio delle quote di emissione a livello europeo, che si appresta a vedere la creazione di uno schema paralleleo e gemello che coprirà il settore dei trasporti su strada e del riscaldamento degli edifici, che contribuiscono insieme con oltre il 30% delle emissioni alla quota

complessiva delle emissioni dell’Unione, mentre il sistema originario, invece, si allarga all’aviazione e al settore marittimo. Ci saranno modifiche alla direttiva sulle energie rinnovabili, e arriva la proposta di una tassa sulle emissioni di CO2 alla frontiera per prevenire la delocalizzazione degli impianti e tutelare l’industria europea.

Gli stati hanno espresso molte riserve sull’estensione del sistema ETS anche ai settori del trasporto su strada e degli edifici, per via dei potenziali costi sociali che deriverebbero da un possibile e probabile aumento di prezzi dei carburanti e del riscaldamento. E’ stato questo un punto molto controverso e delicato, poichè, se da un lato la riforma risulta necessaria per accelerare la transizione ecologica e la decarbonizzazione, dall’altro rischia di provocare un impatto socio-economico profondo, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione.

Per queste ragioni, la Commissione ha proposto la creazione di un Fondo sociale dedicato solo a questa transizione, da finanziare attraverso una parte delle entrate di questo nuovo ETS, per sette anni, nel periodo dal 2025 al 2032.

Nel contempo a Napoli il vertice del G20, sotto la presidenza italiana che ha aperto la strada alla COP26, si è concluso con un documento alquanto deludente, che ha lasciato al di fuori i punti principali delle intere politiche climatiche attuali dal Trattato di Parigi in poi. Non è stata fatta specifica menzione alla necessità di attuare politiche per stare al di sotto della soglia di aumento delle temperature di 1,5 gradi al 2030 ed eliminare il carbone dalla produzione energetica al 2025, ma è però stata riconosciuta la stretta correlazione tra clima, energia, ambiente e povertà in vista di “una decarbonizzazione ormai improcrastinabile”. Meglio di niente.

La crisi climatica però è entrata nel vivo e alcuni cambiamenti climatici sono ormai irreversibili, come afferma l’ultimo rapporto dell’IPCC pubblicato ad agosto. Stiamo assistendo a eventi estremi sempre più intensi e frequenti, siamo vicini ad un aumento di 1,5 gradi della temperatura media del pianeta, che raggiungeremo a metà del secolo e mantenere il riscaldamento globale a livelli gestibili, sebbene pur sopra tale soglia, richiederà grandi cambiamenti nella politica economica di ogni paese.

Secondo il rapporto però si manifesta la sicurezza del fatto che azzerando le emissioni nette si arresterà anche il contributo umano al surriscaldamento e il cambiamento della temperatura potrebbe addirittura cominciare a muoversi in senso opposto. Come si legge nel rapporto: “La deliberata rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera potrebbe invertire alcuni aspetti della crisi climatica. Tuttavia questo potrà succedere solo se la rimozione sarà superiore alle emissioni.”.

Se si vogliono azzerare le emissioni nette entro la metà secolo, si dovrebbero quindi necesariamente triplicare gli investimenti nelle energie rinnovabili entro il 2030 e introdurre profondi cambiamenti nelle società e nelle economie.

Lo si dice da sempre, ma intanto, nel processo per arrivare a rendere effettivamente vincolanti tali obiettivi e metterli in atto, si dovranno attendere anche le prossime inondazioni e incendi e ondate di calore soffocanti.