Pubblicato il: 28 Dicembre 2018
Siamo giunti alla fine di questo anno e nell’ultimo mese e’ stata la diplomazia internazionale a gestire la scena.
L’Assemblea Generale dell’Onu ha dato il via libera al Global Compact per i rifugiati, uno strumento operativo non vincolante che ha lo scopo di rafforzare la cooperazione e fornire un sostegno più solido ai paesi che ospitano i profughi del mondo. Successivamente ha adottato, a Marrakech, dopo negoziati di 18 mesi, il contestato Global Compact per i migranti.
L’intesa, che stabilisce una cornice di principi condivisi attraverso i quali gestire i flussi migratori in maniera “sicura, ordinata e regolare”, cercando di intervenire sulle cause, la riduzione dei rischi per i migranti e per le comunità dei paesi di origine, non è legalmente vincolante, è basata sulla sovranità nazionale e sul principio della cooperazione.
E soprattutto definisce la migrazione come un diritto umano fondamentale e che come tale deve essere considerata e gestita.
In molti paesi il patto è diventato un argomento contestato dalla politica, mentre la Germania e la Francia ne sono tra i piu’ strenui difensori, l'amministrazione Trump, gli Stati del gruppo di Visegrad, e l'Austria non hanno aderito alla sottoscrizione. L’Italia, che ha acconsentito alla firma del patto sui rifugiati, non si e’ nemmeno presentata ai negoziati di Marrakech e ha deciso di rinviare una presa di posizione a tempo debito nell’anno prossimo.
Considerare la possibilita’ di emigrare come un diritto umano fondamentale atterrisce molti. Si teme la distruzione dell’identita’nazionale degli stati, la perdita della sovranita’, l’invasione incontrollata di pericolosi e bisognosi stranieri entrati illegalmente, il finanziamento illecito delle elite mondiali che potrebbero guadagagnare ulteriori ingenti fortune con la supposta apertura delle frontiere. Sebbene il Global Compact esprima con indubbia chiarezza che ogni paese e’, e deve rimanere, libero di attuare le proprie politiche in materia di immigrazione e rappresenti un accordo in alcun modo vincolante sul piano giuridico, si tratta pero’, di fatto, di uno strumento politico e diplomatico importante, che potra’ fornire un indirizzo per la gestione della pressante tematica dei fenomeni migratori internazionali.
Nel contempo si e’ svolta la ventiquattresima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico a Katowice in Polonia. Non sono stati raggiunti mirabolanti risultati, ma la societa’ civile si e’ fatta sentire. Una ragazza svedese di 15 anni ha monopolizzato l’attenzione con un discorso di accusa ai potenti della terra per una vera presa di coscienza della necessita’ per un’azione concreta, lanciando anche un appello per la creazione di un movimento giovanile.
Nonostante le consuete aspettative, come accade ad ogni incontro internazionale sul clima, si può sostenere pero’ che la COP 24 sia stata un evento prevalentemente tecnico, necessario per stabilire un insieme di regole condivise per l’attuazione dell’accordo di Parigi. E in questo senso ha funzionato, soprattutto per l’adozione delle regole di trasparenza con cui ogni paese dovrà rendere conto dei propri progressi.
Ci si chiede tuttavia se, dopo l’accordo di Parigi, i grandi vertici sul clima possiedano ancora una qualche forma di valenza decisionale per la concretizzazione degli obiettivi. Di certo, queste riunioni permettono a paesi mai ascoltati di far sentire la propria voce, e consentono alle società civile e alle organizzazioni di avere un ruolo diretto, se non nei processi, quantomeno nella continua e inarrestabile formazione di una coscienza critica.
“Ci state rubando il futuro”, ha detto Greta, qualcuno l’ascoltera’ davvero stavolta?