Pubblicato il: 05 Maggio 2021
Ogni anno dal 1970 il 22 aprile si festeggia la giornata della Terra.
Nata come manifestazione del movimento ambientalista che in quel periodo muoveva i primi passi, con gli anni, la Giornata della Terra è divenuta un'occasione di confronto tra i leader mondiali per l’adozione di politiche ambientali comuni nella lotta al cambiamento climatico.
Il 22 aprile del 2021, il nuovo presidente americano Joe Biden, in occasione dello scadere dei suoi primi cento giorni di mandato, periodo in cui per prassi statunitense si valuta l’operato di ogni neo presidente in termini di coerenza con il programma di governo, ha voluto osare di più, e non si è accontentato di un semplice annuncio mezzo stampa per ricordare al mondo la necessità impellente dell’azione climatica.
Biden ha quindi organizzato un summit mondiale virtuale con tutti gli stati del mondo per prepararsi con più organizzazione al vero grande appuntamento di questo 2021, la COP 26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici che si terrà a novembre a Glasgow, dopo un anno di stop a causa della pandemia.
Joe Biden, e molti altri leader soprattutto eropei, sanno bene quanto il successo o il fallimento della Conferenza di Glasgow, sarà determinato da quanto ambiziosi saranno gli obiettivi di riduzione delle emissioni che ogni paese dovrà, o vorrà, annunciare prima di allora, i cosiddetti “obiettivi nazionali volontari”.
Il presidente americano ha promesso un taglio alle emissioni del 52% entro il 2030, praticamente raddoppiando l’impegno di Barack Obama che prevedeva una riduzione del 25-28% entro il 2025.
L'Unione Europea ha approvato la “legge europea sul clima” con l'obiettivo di raggiungere la neutralità climatica a livello comunitario entro il 2050 con un taglio del 55% delle emissioni entro il 2030.
Il Regno Unito si impegna a un taglio del 68% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030, annunciando una strategia nazionale che promette un abbandono del carbone entro il 2024.
Xi Jinping, leader del paese responsabile delle maggiori emissioni mondiali e grande ospite d’eccezione assieme a Vladimir Putin, la cui presenza, seppur virtuale e palesemente annoiata durante la conferenza, non era assolutamente scontata in un momento di crescenti tensioni internazionali, ha sorpreso tutti dichiarando il nuovo obiettivo di raggiungere emissioni nette zero entro il 2060. Ha tuttavia subordinato il taglio delle emissioni alle sue esigenze di crescita economica e non ha ancora presentato un piano.
Per quanto riguarda gli altri stati del mondo, il Canada si è trovato sotto pressione per rafforzare il proprio piano, il Giappone ne ha promesso una revisione sostanziale, il Messico ha presentato un piano che fa marcia indietro rispetto alla sua posizione precedente, il Sudafrica nonostante le preoccupazioni derivanti dalle conseguenze economiche della pandemia, ha mostrato un piglio a favore di maggiori riduzioni, l'Arabia Saudita ha mantenuto una posizione cauta, ma non di piena opposizione. Alcuni grandi paesi, responsabili di una buona fetta dell’inquinamento globale, come India e Australia non hanno voluto esporsi nel prendere impegni di riduzione. L'India, nonostante gli investimenti ingenti nelle energie rinnovabili portati avanti dal presidente Modì, ha ancora un’eccessiva dipendenza dal carbone, il governo australiano semplicemente si rifiuta di agire e infine il Brasile ha manifestato una vaga volontà di riduzione, ma nessuna concretezza sulla fattibilità del piano.
I leader mondiali dopo aver dichiarato le proprie intenzioni di riduzione hanno poi spostato l’attenzione sulle “opportunità economiche dell’azione sul clima”, come ha dichiarato il Presidente americano, che spinge per costruire un "patto tra i produttori", sia sul piano interno statunitense che su quello internazionale. La Segretaria del Tesoro, Janet Yellen, nel suo intervento durante la prima giornata del summit, ha avvertito che per portare avanti ciò che è stata definita “la rivoluzione verde del nuovo millennio”, saranno necessari i capitali privati, sia per sostenere le economie, soprattutto quelle più deboli, nell’uscita dalla pandemia, sia per estendere la rete di protezione sociale convertendo le produzioni più obsolete ed inquinanti dei paesi più poveri e finanziando un futuro più sostenibile e giusto anche per quella parte di mondo.
Il summit dei leader organizzato da Biden nasce dal nulla, in questo momento gli Stati Uniti non hanno né la presidenza del G7, che spetta al Regno Unito, che ha anche il ruolo di ospite della COP26, né del G20, che in questo momento è dell’Italia. Questa mossa di Biden è perfettamente in linea con la volontà espressa dal Presidente di riportare gli Stati Uniti al centro del dibattito sul cambiamento climatico, inziata dapprima con il rientro nel trattato di Parigi, e seguita da una serie di misure e riforme annunciate sia in politica interna, sia in politica estera, sia, appunto, in politica ambientale, che denotano quanto sia forte la spinta a scardinare l’eredità lasciata del suo predecessore Trump. Fra le altre misure previste, Biden ha istituito nuovamente il comitato di esperti sulla scienza ambientale che era stato smantellato da Trump, ha revocato il permesso per la costruzione dell'oleodotto di Keystone, ha chiesto alle agenzie federali di acquistare veicoli elettrici a emissioni zero prodotti negli Stati Uniti, misura necessaria anche per la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore, ha sospeso la concessione di nuovi contratti di locazione di terreni federali o di acque off-shore per l'estrazione di petrolio e gas e ha istituito un ufficio che si occuperà di politica climatica interna guidato da John Kerry e Gina McCarthy, i consiglieri per il clima della Casa Bianca.
Il Summit sul clima è anche un banco di prova interessante anche per il Regno Unito, in vista della COP 26. Boris Johnson non mancherà di battersi per la buona riuscita della di una Conferenza di tale importanza, la prima post pandemia, la prima dopo l’entrata in vigore del Trattato di Parigi, la prima dopo il rientro degli Stati Uniti nel trattato e soprattutto la prima dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, motivo in più per il premier britannico di dimostrare la sua autorevolezza nei confronti della Comunità Internazionale e dei suoi elettori.
Date le premesse del comportamento degli stati al Summit sul clima, si può sperare dunque che le possibilità di successo della COP26 siano alte.
Gli Stati Uniti, la Cina, l'Europa, il Regno Unito, e molti altri paesi che hanno dichiarato di poter e voler arrivare alla neutralità del proprio impatto emissivo entro la metà del secolo, il comparto economico è sempre più allineato e sempre più performante nell’uso delle rinnovabili che rendono ogni giorno meno lontano il traguardo della transizione energetica.
Eppure, la comunità scientifica non è convinta e teme il peggio. Le strategie e i piani di riduzione nazionale presentati dagli stati finora non sono sufficienti per rimanere sulla strada dello zero netto entro il 2050 al fine di limitare il riscaldamento della temperatura terrestre a 1,5C, il grande obiettivo del Trattato di Parigi. E via di sopravvivenza per l’intero genere umano.
Gli annunci non serviranno a fermare l’avanzata del cambiamento climatico, la presenza virtuale o fisica di questo o quel leader ad un Summit improvvisato non significa che le azioni saranno concrete e decisive.
Affinchè la terra possa continuare ad essere festeggiata ogni anno, è vitale non sprecare le occasioni per proteggerla.