Pubblicato il: 06 Marzo 2020
In una New York deserta e in rovina l’unico sopravvissuto ad una pandemia globale, dove un virus ha distrutto l’umanità e trasformato tutti in mutanti vampiri, trasmette ogni giorno un messaggio radio sperando che qualcuno lo possa ascoltare. Lui è Will Smith e si tratta di un film.
Eppure, “zona rossa, isolamento, quarantena, paziente zero” sono parole entrate nell’uso linguistico italiano corrente da qualche settimana a questa parte. Non siamo di certo in preda a zombie che si appostano agli angoli delle strade pronti a sbranarci vivi non appena cala il sole, ma siamo tuttavia nel mezzo di una situazione nuova, complessa, con una forte potenziale pericolosità. Dal chiaro sapore distopico eppure più che mai reale.
La diffusione del Coronavirus ha sorpreso il mondo in un secondo. Originario dalla lontana regione di Wuhan, in Cina, come mutazione del virus che nel 2003 causò la Sars e nel 2012 la Mers, questo coronavirus si è spostato rapidamente. Ora è in Italia, dove si sta affrontando una situazione d’emergenza. Il nord del paese è in isolamento, le scuole sono chiuse, le attività sociali e aggregative bloccate e si chiede alla popolazione di non uscire di casa, se non per estrema necessità.
Ci sono stati decessi, contagi, incredulità, forse sottovalutazione iniziale, confusione e paura, soprattutto per la velocità di tramissione. Gli ospedali hanno già raggiunto la capacità contenitiva dei pazienti che necessitano di cure intensive a causa del virus, il personale medico è stremato, virologi ed epidemiologi studiano incessantemente non solo come ridurre la ripidità della curva del contagio, ma soprattutto, come dilazionare nel tempo il numero di infetti che vengono ricoverati per polmonite acuta.
Dunque, in un tale clima, si ritiene opportuno sottolineare un paio di punti.
Primo. Per una volta, crediamoci all’allarme della scienza e della medicina e agiamo con estrema responsabilità. Ci sono voluti decenni per accettare il cambiamento climatico come scienza, e ancora oggi lo si mette in dubbio. Compariamo l’emergenza coronavirus all’innalzamento delle temperature, senza più polemiche in merito. Se non lo vediamo, non vuol dire che non esiste.
Secondo. E’ un’epidemia del mondo globalizzato e come tale va analizzata e affrontata, anche e soprattutto in termini di incertezza delle conseguenze.
La sfida non è solo medica, ma anche politica, sociale ed economica. Il Covid-19 continua ad estendersi e con esso non solo i malati, ma anche i danni economici, sebbene al momento difficilmente ponderabili. Da un lato l’epidemia sta mostrando al mondo quanto fragile sia un modello di globalizzazione fondato su una dipendenza elevatissima da un solo paese come interlocutore in molti settori, la Cina, dall’altro e contemporaneamente, si dovranno considerare le ripercussioni che a livello nazionale l’Italia dovrà affrontare a emergenza finita. Data la paralisi forzata della maggior parte delle attività commerciali e ricreative, l’economia italiana in primo luogo, e ora mondiale, sta risentendo il colpo.
Sembra di essere tornati alla crisi del 2008, con settimane di mercato devastanti e venti di recessione alimentati dall’incertezza sul futuro. Certo, le emissioni sono pure calate, a livello globale, ma è un meccanismo che si attiva non appena si avvia un rallentamento della produttività. L’Europa ci aiuterà o chiuderà un occhio quando ci saranno da pagare le bollette? Entreremo in fase di recessione unilaterale? Sono danni economici che il paese può sostenere quantomento nel breve periodo? E quanto durerà, ancora, questo breve periodo?
Terzo. Ci sentiamo soffocati, impotenti e sotto attacco, ma ancor prima che dalla scienza il vaccino più efficace può arrivare da noi.
L’ignoto è ora nel nostro corpo, nelle nostre case, nelle nostre abitudini e costringe ad un cambio di percezione dello spazio e del tempo, a riorganizzare completamente le nostre vite, obbliga ad una rinuncia, di quella modalità di vita garantita da una società moderna e democratica dove tutto è concesso, sempre, in ogni momento. Ogni spostamento, ogni agio, ogni contatto. Ogni possibilità. Non sarà per sempre, ma finchè durerà sarà così.
E chissà, forse impareremo qualcosa, forse daremo un nuovo valore a ciò che ora non è più concesso, e che è sempre stato lì, come normale quotidianità. Quel caffè al mattino che si ordina con un solo cenno, quel film al cinema il sabato sera, quello spettacolo, quel viaggio, quell’evento. Quella lezione noiosa a scuola, quell’esame all’università, quella giornata pesante al lavoro, quel collega che proprio non sopportiamo, le code alla cassa del supermercato che tanto ci affaticano, la congestione del traffico, quell’aperitivo in centro, quella serata che abbiamo atteso da tanto per rivedere chi amiamo. Quell’abbraccio. Quella stretta di mano.
O forse, molto semplicemente, tenteremo di navigare gli eventi e restare a galla, ognuno a modo suo.
Così, proprio come faceva il protagonista di quel film, ora entriamo nelle nostre case, accendiamo la radio e propaghiamo questo messaggio: “Sto trasmettendo su tutte le frequenze in onde medie, se c’è qualcuno dall’altra parte, chiunque tu sia, non sei solo”.
Ci sarà chi ascolterà.