Pubblicato il: 06 Ottobre 2021
“It’s coming home”, cantavano gli inglesi dando per scontato di alzare la coppa dei campioni agli europei di calcio avvenuti quest’anno.
“It’s coming Rome”, hanno fatto eco le poche migliaia di tifosi italiani nel silenzio raggelante dello stadio di Wembley dopo la vittoria della nazionale tricolore con l’ultimo rigore parato dal gigantesco portiere Donnarumma.
Allo stesso modo, con uno striscione da stadio, gli studenti della Sapienza di Roma hanno accolto il loro professore Giorgio Parisi alla notizia del conferimento del premio Nobel per la fisica.
Era dal 2002 che un italiano non vinceva il premio in questo campo, ma era era dal 1986, dal Nobel per la medicina a Rita Levi Montalcini, e poco prima nel 1984 con Carlo Rubbia per la fisica, che il premio non veniva ottenuto uno studioso che ha scelto di vivere e fare ricerca in Italia.
Quest’anno, il lavoro ritenuto tale da “aver apportato grandi benefici all’umanità”, ragione stessa del premio, è stato attribuito al campo della fisica teorica ed applicata che studia i sistemi complessi, di cui il più importante è l’atmosfera, nel tentativo di trovare regolarità nel caos apparente da cui sono determinati.
Il Nobel è stato condiviso fra tre studiosi, che hanno tutti contribuito all’analisi dei sistemi fisici complessi, e il nostro Giorgio Parisi si è attribuito esattamente la metà dell’ammontare del premio.
Syukuro Manabe della Princeton University e Klaus Hasselmann del Max Planck Institute for Meteorology di Amburgo, sono stati premiati per la modellazione del clima terrestre che ha portato a "quantificare la variabilità e prevedere in modo affidabile il riscaldamento globale”, mentre Giorgio Parisi per la sua scoperta “della interazione di disordine e delle fluttuazioni nei sistemi fisici dalla scala atomica a quella planetaria”, e lo sviluppo di modi per prevedere il loro comportamento a lungo termine.
Le sue idee matematiche non solo hanno aiutato a spiegare alcuni dei complessi meccanismi del clima terrestre, dimostrando che la modellazione del clima e la nozione di riscaldamento globale poggiano su una solida scienza fisica, ma hanno anche influenzato altri ambiti di studio della biologia, delle neuroscienze e dell’informatica, per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Questo premio non potrebbe essere più tempestivo, considerando l’uscita del sesto rapporto sul cambiamento climatico dell’IPCC, di cui si inserisce come ulteriore conferma scientifica, e l’imminente Conferenza sul clima di Glasgow, nella quale i leader mondiali dovranno rendere vincolanti gli impegni di riduzione delle emissioni globali e far seguire azioni concrete alle dichiarazioni di intenti.
Giorgio Parisi nel contempo è tornato in patria, e nelle interviste rilasciate ai giornali nazionali e internazionali dopo il conferimento del premio, non ha nascosto il suo potente lato umano, che si accosta e completa la sua geniale mente di fisico teorico che ama cercare ordine nel caos e districare la complessità dei sistemi che compongono il mondo che ci circonda.
Ha ricordato come si sia visto sfuggire la possibilità di una pubblicazione da Nobel quando aveva 25 anni, come gli studi che gli hanno valso il Nobel ora risalgano a quasi quarant’anni fa, come si diletti a scrivere favole per bambini e a raccontarle ai suoi nipoti, e come si sia appassionato alla danza sin dalla giovane età, al forrò, una danza tradizionale brasiliana, alla pizzica e al sirthaki, la danza di Zorba il greco.
Ha ricordato i suoi studenti della Sapienza, i sui colleghi nei centri di ricerca del paese, la sua volontà di voler rimanere in Italia e la necessità di sostenere e sovvenzionare la ricerca scientifica nelle università italiane.
Già, “It’s coming Rome”.