Pubblicato il: 03 Luglio 2019
Comunque la pensiate i simboli affascinano. E se vi dico lunghe trecce, occhi ben aperti e allungati, cappello di lana bianco e un cappotto antipioggia giallo, l’immagine non potrebbe essere piu’ evocativa.
La ragazzina che viene dalla Svezia, l’attivista ambientalista che Time Magazine ha inserito fra i 100 personaggi piu’ famosi del pianeta, che ha incontrato i principali leader politici e spirituali, che ha parlato in meeting di rilevanza mondiale, e potrebbe pure essere una delle possibili candidate al Nobel per la Pace nei prossimi anni, ci ha messo tutti con le spalle al muro con parole che ci fanno arrossire dalla vergogna.
E’ un personaggio affascinante, magnetico, senza tempo. Sembra molto piu’ piccola dei sedici anni che porta, eppure molto piu’ grande quando la senti parlare. Cosi’ seria, severa, con quello sguardo quasi inespressivo e privo di empatia, con un filo di voce che non perde mai pacatezza, cosi’ fortemente caratterizzata nella sua apparenza fisica, da farci venire un inconscio istinto di procurarle una qualche forma di espressione umana sul viso a suon di “ma chi pensi di essere”.
Soffre della sindrome di Asperger, una forma di autismo che la fa sentire inadeguata nei grandi gruppi, che non le fa comprendere le regole delle società, che la trattiene con manie, intransigenze e fissazioni, che la fa parlare solo quando sente essere veramente necessario, con un’ostinazione e una schiettezza che non si curano dell’impatto che le sue parole potrebbero suscitare negli altri.
Una Forrest Gump che viene dal freddo, potremmo dire, o forse l’ennesimo simbolo degli ambientalisti da salotto. Dopo essersi resa consapevole dei disastri che stanno avvenendo nel mondo a causa dei cambiamenti climatici, ha smesso di mangiare e di parlare, e’ entrata in un periodo di profonda depressione e ha capito che non avrebbe mai piu’ potuto vivere come prima. E’ diventata vegana, ha cominciato a vivere in uno stato di quasi monacale coerenza ecologista e ogni venerdi’, per mesi, saltando scuola, si e’ seduta davanti al Parlamento di Stoccolma con un cartello che diceva “sciopero scolastico per il clima”. E con il tempo quella bambina dalle lunghe trecce ha portato con se’ altri bambini e altrettanti adulti, e ha messo in atto il piu’ grande movimento globale per l’ambiente. Cosi’, il 15 marzo, il primo degli ormai famosi Fridays for Future, milioni di giovani da ogni citta’ del globo sono scesi per le strade a manifestare.
Ma Greta non e’ l’unica nella sua battaglia. C'è un'altra onda green che sta sfidando l'Europa. Un movimento ambientalista non violento, composto, non solo, ma per una buona parte, da giovani ragazzi, ha paralizzato a partire dal mese di aprile la capitale inglese con la più grande campagna di disobbedienza civile della storia del Regno Unito. Non si sono usati manganelli, lacrimogeni, non sono state distrutte vetrine e incendiate auto. Solo azioni dimostrative, quasi fosse un teatro di strada. I manifestanti ostruiscono il suolo pubblico e cantano, si incatenano simbolicamente ai luoghi del potere, si incollano le mani all’asfalto, si lasciano arrestare con il sorriso e portare via di peso senza oppore alcun tipo di resistenza. Tutto qua. E quando vengono arrestati, da forze dell’ordine che pacificamente fanno il loro dovere, stavolta anche loro malgrado, lo scopo e’ stato raggiunto. La notizia si propaga e la causa del manifestare assume consistenza. Si chiama Extinction Rebellion e Greta ha parlato ad uno dei loro incontri con un’ovazione di consenso.
Il nodo da sciogliere e’ il conflitto fra la teoria e l’azione. E’ una generazione, quella di Greta e dei ragazzi londinesi, che sceglie di non mangiare carne, di comprare per lo piu’ vestiti usati, che cerca di azzerare l’impatto dei propri consumi sull’ecosistema, che viaggia, si informa e conosce, e lo fa senza aerei ma con uno zaino in spalla e dormendo di certo non negli aberghi.
Criticarli e’ facile. Cosi’ come e’ naturale dire che, no, non e’ in questo modo che si possono cambiare le cose, che sono strumentalizzati, che sono degli ipocriti incoerenti poiche’ in realta’ frutto e parte attiva di quel sistema che combattono, che sono solo dei ragazzini ricchi e viziati che giocano a fare la rivoluzione, che hanno tempo da sprecare perche’ hanno le spalle coperte dai privilegi di uno status di nascita che permette loro di pensare in termini idealistici, che i problemi veri sono altri e sono altrove e per quelli si dovrebbe lottare. Che i colpevoli sono quelli dei palazzi con piani cosi’ alti che neanche si vede la cima, che dovrebbero continuare a studiare e poi trovarsi un lavoro per cambiarlo da dentro il mondo, piuttosto che bloccare le citta’ per qualcosa che neanche sanno davvero cos’e’ e che, diciamocelo, fa solo parte della moda del momento.
Forse non tutti saranno cosi’ radicali, ma ci provano davvero, nel loro piccolo, questi ragazzi ad essere il cambiamento che desiderano. E delegittimare il messaggio di cui si fanno portavoce, pur nella loro ingenuita’ e contradditorieta’, non fa altro che allontanare sempre di piu’ il momento in cui si prendera’ atto che il problema esiste, e va affrontato, da tutti, a livello politico.
Proprio come e’ accaduto lo scorso 20 giugno in sede di Consiglio Europeo. I paesi del cosiddetto blocco di Visegrad, populista e nazionalista, a cui l’Italia e gli Stati Uniti di Trump ultimamente si sono trovati piuttosto vicini, hanno posto il veto all’obiettivo dichiarato dalla Commissione di portare avanti una politica di decarbonizzazione spinta per arrivare all’azzeramento delle emissioni entro il 2050. L’accordo, gia’ approvato da Germania, Regno Unito, Francia e Spagna, e’ saltato.
Non si puo’ che sperare che la neonata forza dei partiti verdi, vincenti alle scorse elezioni europee, all’interno delle istituzioni comunitarie e nei parlamenti nazionali, in Germania, soprattutto, ma anche
In Francia, nella Spagna dei socialisti e nel Regno Unito, possa nel tempo controbilanciare le spinte negazioniste.
E ci si augura anche che questi movimenti ambientalisti non si fermino e continuino a fare pressione. Quando si e’ giovani, si deve poter credere in qualcosa, si deve poter pensare che il cambiamento sia possibile e si deve poter prendere posizione. In un mondo cosi’ diviso, aggressivo, che ci mette l’uno contro l’altro, anche quegli ideali hanno il diritto di essere gridati, come un monito per tutti.
Affinche’ una volta diventati adulti, questi ragazzi possano dire “io c’ero, io ci ho provato”.
Quanti possono fare lo stesso?