Pubblicato il: 25 Novembre 2014
Donne e scienza, un connubio particolarmente vitale che tanto inorgoglisce gli italiani e il mondo intero in questo momento. Femminismo e scienziati, un incontro che, invece, sembra essere un po’ meno fortunato.
Due donne.
Fabiola Gianotti, cinquantatrè anni, una delle principali esperte in fisica delle particelle e neopresidentessa del Cern di Ginevra. Prima donna a svolgere questo ruolo dalla sua fondazione. Venticinque anni di lavoro al Centro, di cui dieci dedicati allo studio del bosone, la più affascinante ed enigmatica fra le particelle subatomiche, fino alla sua scoperta nel 2012 e al Nobel a Peter Higgs nel 2013, lo scienziato che per primo ne ebbe l’intuizione.
E Samantha Cristoforetti, trentasette anni, ingegnere meccanico, pilota militare, poliglotta. Prima donna italiana a volare nello spazio, scelta fra 9000 candidati per fare parte della missione Futura, che ha visto collaborare l’Agenzia Spaziale Italiana e quella Europea. Nella nottata della domenica appena trascorsa Samantha ha raggiunto la Stazione Spaziale Internazionale dove per sei mesi condurrà esperimenti sulla fisiologia umana e la biosostenibilità del pianeta.
Un uomo.
Matt Taylor, fisico britannico pilastro dell’Ente Spaziale Europeo, uno dei principali artefici di un'impresa scientifica senza precedenti, che ha consentito l’atterraggio di una sonda su una cometa a più di 500 milioni di chilometri dalla terra. Il progetto consentirà di prelevare preziosi campioni di materiale da cui si potranno ottenere informazioni sulla nascita dei pianeti, essendo le comete frammenti che datano alla formazione del sistema solare stesso.
Sempre lui, Matt Taylor, colpevole di aver esibito un dresscode non propriamente ortodosso durante la conferenza stampa nella quale annunciava la riuscita della missione.
Diciamo che da un omone con il fisico palestrato, una folta barba, con le braccia e le gambe ricoperte di tatuaggi, che com’è noto ama vestirsi in maniera stravagante, ci si poteva pure aspettare che si presentasse ai giornalisti con le bermuda, i calzini a metà polpaccio, le sneakers e soprattutto una vistosissima camicia hawaiana con ammiccanti e succinte pin up. Insomma, un interessante miscuglio di identità fra un hipster, un surfista e un boscaiolo, sicuramente agli antipodi dall’icona dello scienziato un po’ sommesso cui siamo tutti abituati.
Eppure, nonostante l’eccezionalità della notizia di cui si faceva portavoce, la vera e assoluta protagonista è stata, a tutti gli effetti, la sua camicia. Come dire che se le due scienziate avessero indossato una minigonna tutti avrebbero parlato solo delle loro gambe.
Per resistere alle accuse di misoginia lanciategli delle femministe di tutto il mondo e ai rimbrotti dei colleghi che lo hanno additato non solo come inopportuno e fuori luogo, ma persino come sessista, Matt Taylor si è ritrovato costretto a scusarsi pubblicamente con tanto di testa bassa e lacrime in diretta tv.
Ora, non si può certo nascondere la buona dose di consapevole narcisismo che contraddistingue il personaggio, pure fotografato piu’ volte con la maglietta dei Cannibal Corpse, gruppo death metal notoriamente disgustoso, ma la reazione del pubblico femminile è apparsa davvero ottusa e poco lungimirante, soprattutto se sente la necessità di difendersi da un gesto che avrebbe richiesto al massimo un po’ di sana autoironia.
A maggior ragione, se quella stessa difesa sortisce l’effetto di far passare in secondo piano il meraviglioso esempio portato da due donne che hanno rivendicato la parità del loro genere riuscendo ad emergere e ad eccellere in un ambiente ancora imbrigliato in logiche maschili, pur mantenendo intatto l’entusiasmo e la dolcezza della loro femminilità.
Basta infatti guardare i sorrisi di Fabiola e Samantha per percepire una forma di femminismo profondo, diverso e davvero consapevole, quello che però sovente non riesce a mantenere il suo appeal di fronte ad un certo mondo che invece, pur nella critica, si ritrova imbrigliato alle logiche dominanti che tenta di sovvertire.
Spinti dall’ansia di egualitarismo che tanto caratterizza il momento attuale, siamo così spaventati dal timore di inciampare in una qualsiasi forma di discriminazione che alla fine ci riduciamo a custodi di un formalismo sterile, tanto da percepire offesa anche ciò che, banalmente, potrebbe essere liquidato come cattivo gusto o mania di protagonismo.
Troppo spesso, infatti, la retorica del femminismo vede le donne talmente incastrate nel dilemma della lotta a tutti i costi per quei diritti che sentono essere ancora non pienamente garantiti e di un’immagine che deve essere tutelata da ogni forma di attacco, anche solo percepito, da dare alla fine meno peso alle reali manifestazioni di diffidenza e discriminazione perpetrate a molti livelli del vivere sociale, fra l’altro non solo nei confronti delle donne.