Pubblicato il: 24 Novembre 2021
Quattordici giorni di colloqui e notti intere in un centro conferenze blindato, disinfettato e futuristico a Glasgow, in Scozia, hanno prodotto alcune promesse interessanti per gli anni a venire, tutte incluse in quello che è stato definito il Glasgow Climate Pact.
L’obiettivo "consegnare il carbone alla storia", è stato annacquato all'ultimo minuto con l'impegno di "ridurre gradualmente" piuttosto che "eliminare gradualmente" l'energia prodotta dal carbone, su richiesta della Cina, il che ha indebolito il potere dell’accordo. Ma è comunque la prima volta nella storia, in quasi 30 anni di colloqui, che si menziona una tale strategia in un testo uscente da una conferenza internazionale sull’ambiente e questo manda un chiaro segnale.
La più grande sorpresa a Glasgow è stato un accordo raggiunto in extremis tra i due maggiori emettitori mondiali, Stati Uniti e Cina, per lavorare insieme per ridurre l’impatto sul clima. Non si tratta di un vero e proprio accordo, quanto piuttosto di un’amichevole tregua per un obiettivo comune, da parte di due contendenti che nell’ultimo periodo non si sono di certo stretti le mani.
Un altro importante obiettivo raggiunto a Glasgow, duramente conquistato e a lungo atteso, è stato il completamento del "Paris rulebook", un testo relativo all’articolo 6 del Trattato di Parigi, atto a regolamentare il mercato delle emissioni a livello globale. Il nuovo testo uscente da Glasgow ha standardizzando il modo in cui le emissioni sono riportate, consentendo un mercato molto più chiaro e trasparente e portando il sistema come strumento guida nel panorama delle politiche ambientali e la finanza climatica come mezzo strategico.
La COP di Glasgow, per la prima volta, ha fatto anche qualcosa di diverso rispetto al passato. Al di fuori del nucleo dei negoziati delle Nazioni Unite, sono stati conclusi una serie di accordi collaterali, non vincolanti, ma estremamente interessanti, sulla deforestazione, il metano, i veicoli elettrici.
L’accordo però risulta ancora troppo debole nel riconoscimento della responsabilità storica dei paesi ricchi al cambiamento climatico. E’ stato prodotto un meccanismo di "perdita e danno" per aiutare i paesi maggiormente esposti a condizioni metereologiche estreme dovute ai cambiamenti del clima, ma non risulta sufficiente nella chiarezza e nella sostanza dei fondi.
Per stabilire se la conferenza di Glasgow è stata un successo o un fallimento, è necessario tuttavia interrogarsi sul significato che si attribuisce a questi due termini.
Considerando la Conferenza secondo quello che era il suo obiettivo principale, ovvero evitare di raggiungere un aumento delle temperature superiore a 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale entro la fine del secolo, il Summit ha disatteso il suo scopo.
Valutando gli impegni a lungo termine sull’azzeramento delle emissioni nette di gas serra, un traguardo che l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno fissato al 2050, la Cina al 2060 e l’India addirittura al 2070, si preannuncia un futuro molto più vicino alla soglia di aumento di 1,8 gradi, invece che 1,5, con conseguenze pericolose e imprevedibili.
Se invece si valuta la COP26 rispetto ai Summit precedenti, il quadro è differente.
A Glasgow è stata evidente la determinazione degli organizzatori a superare gli ostacoli emersi durante la giornata conclusiva per evitare che la conferenza si concludesse con un fallimento. I negoziatori sapevano di avere gli occhi del mondo puntati addosso questa volta e dopo le proteste dei nuovi movimenti ambientalisti che hanno fatto crescere una coscienza climatica intergenerazionale, anche quelli della società civile.
Con almeno vent’anni di ritardo, questa conferenza ha certificato che l’emergenza ambientale è una priorità globale. E questo era probabilmente il risultato più importante che si potesse ottenere, dato che fino ad oggi la lotta è stata innanzitutto per far valere l’evidenza scientifica del cambiamento climatico.
Persuadere 197 paesi a raggiungere un consenso è diabolicamente difficile. Si stanno facendo progressi e sebbene non sembri, l’obiettivo di non superare la soglia dei 1,5C non è così fuori portata.
I cambiamenti richiedono tempo, soprattutto per un cambiamento economico, politico e sociale di tale entità. Spesso non accade nulla, finchè in un momento poi tutto si mette in moto. Le notizie negative sul clima ci mettono di fronte alla realtà dei fatti, ma per una volta, siamo critici ma non distruttivi.
A volte un pò di speranza ci vuole.